“Nessuno è più potente di colui che ha se stesso in proprio potere” (anonimo latino)
Questa frase è riportata su un cartellone esposto fuori il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo a Roma. Il Museo si trova lungo una delle vie che porta alla Stazione Termini di Roma, strada che spesso mi sono trovata a percorrere.
La frase sottolinea, insieme ad altre frasi presenti, l’arte e la filosofia romana con l’obiettivo di attrarre i visitatori. Non l’ho mai notata veramente, fino a quando la scorsa settimana è successa una cosa… per la prima volta dopo mesi mi è balzata agli occhi, e l’ho letta.
L’accaduto mi ha colpito.
È qualche tempo, infatti, che sia negli incontri di coaching che nelle giornate di formazione che seguo, mi trovo a parlare con le persone della necessità di controllare la propria emotività per acquisire una maggiore efficacia personale e relazionale sia nel lavoro che nel privato.
Per Daniel Goleman, autore dell’Emotional Intellingence, il controllo delle emozioni è una delle cinque dimensioni dell’E.I. La definisce come la capacità di controllare i propri sentimenti; ossia la capacità di resistere alle tempeste emotive senza essere “schiavi delle passioni”.
Questa capacità è una virtù elogiata fin dai tempi di Platone. I romani e i primi cristiani la chiamarono temperantia, temperanza. Bisogna specificare che controllare non vuol dire mettere a tacere/soffocare, quanto piuttosto gestirne il fluire, l’intensità dell’espressione. Quando le emozioni sono troppo tenui, infatti possono comparire l’indifferenza e il distacco; quando sfuggono il controllo, invece, diventano estreme e talvolta distruttive, come nel caso della rabbia.
Questa capacità di governare le nostre emozioni è importante anche in relazione al contesto esterno in cui queste emergono. Dell’aspetto dell’adeguatezza ne ha parlato già Aristotele, affermando la necessità che “le emozioni siano appropriate, cioè proporzionate alle circostanze”. In questo caso, quindi, parliamo dell’abilità di leggere il contesto fuori di noi e di adeguare il nostro “stato interno” al mondo “esterno”.
Questa capacità di controllare i sentimenti in modo che siano appropriati, nell’intensità e nella circostanza, si fonda sull’autoconsapevolezza. Coloro che ne sono scarsamente dotati si trovano a dover perennemente confrontarsi con le conseguenze che la loro “libera espressione” comporta, mentre gli individui capaci di un governo emotivo riescono a raggiungere risultati relazionali di maggior efficacia.
Sono passati millenni eppure….la storia continua ad essere oggi!